Quella mattina del 19 marzo 1994
Don
Peppe, intanto, mentre comincia ad indossare i paramenti sacri, sta ancora
concordando con il suo amico fotografo il da farsi per vedersi dopo la messa.
Ed ecco che entra l’uomo col giubbotto. “Chi è don Peppe?”, chiede lo
sconosciuto. Don Diana si gira e risponde: “Sono io”. L’uomo tira fuori la
pistola dalla cintola e spara cinque colpi, al volto e al petto. Per don Peppe
che cade in una pozza di sangue, non c’è niente da fare. Muore a 36 anni il
prete che aveva osato sfidare apertamente la camorra dei casalesi. Il killer si
dilegua. Ad aspettarlo ci sono dei complici con l’auto del motore acceso.
Augusto, il fotografo amico di don Diana invece, corre dai carabinieri a
denunciare l’accaduto. Sarà lui a riconoscere in Giuseppe Quadrano il killer di
don Diana.
Per
l’uccisione di don Giuseppe Diana, il 4 marzo 2004, la Corte di Cassazione ha
condannato all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti quali coautori
dell’omicidio, mentre ha riconosciuto come autore materiale dell’omicidio il
boss Giuseppe Quadrano condannandolo a 14 anni, perché collaboratore di
Giustizia. Decisiva la testimonianza di Augusto Di Meo.
Quanto
ai mandanti, la giustizia ha accertato che la morte di don Diana venne ordinata
dalla Spagna, dal boss Nunzio De Falco detto “’o Lupo”, con l’intento di
colpire il clan Schiavone- Bidognetti.
Ma
prima della sentenza definitiva, ci sono stati vari tentativi di infangare la
memoria di don Giuseppe Diana. Tentativi che iniziarono sin dalle prime ore
dopo la sua morte, quando venne fatta circolare la voce che era stato ucciso
per vicende di donne.
A
queste voci seguirono vere e proprie campagne denigratorie con articoli apparsi
sul “Corriere di Caserta” che avevano l’obiettivo di delegittimare non solo la
figura di don Diana, ma soprattutto il suo forte messaggio lanciato dagli
altari delle chiese della Forania di Casal di Principe, a Natale del 1991, con
il documento “Per amore del mio popolo”. Un messaggio dirompente contro
la cultura camorristica e criminale, nato nel cuore di quella che lo stesso don
Diana definiva la “dittatura armata” della camorra.
Da
19 marzo di ventinove anni fa, molte cose sono cambiate. La sua morte è stata
come un seme caduto nella buona terra perché ha dato molti frutti. I colpi
inferti dalle forze dell’ordine e dalla magistratura ai clan sono stati
pesanti. Le condanne all’ergastolo per i capi della camorra casalese hanno
messo in ginocchio l’organizzazione criminale.
Nel
frattempo, diversi beni sono stati confiscati ai boss e assegnati ad
associazioni e cooperative sociali.
Nel
2010 è stata costituita la Cooperativa “Le terre di Don Peppe Diana” e
ha avuto in affidamento la tenuta agricola appartenuta al boss Michele Zaza a
Castel Volturno per la realizzazione di una fattoria didattica e del caseificio
che produce la “Mozzarella della Legalità”, primo prodotto campano
realizzato sui terreni confiscati alla camorra. Produce Mozzarella di Bufala
Campana DOP e ricotta con latte di allevamenti locali. Si dedica anche alla
produzione di grano, con i quali Libera Terra realizza i Paccheri Don Peppe Diana
e legumi pregiati quali la cicerchia. La Cooperativa “Le terre di Don
Peppe Diana” aderisce alla rete di Libera.
“Libera.
Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” è nata con
l’intento di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere
legalità e giustizia. Attualmente Libera è un coordinamento di oltre 1600
associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, territorialmente impegnate per
costruire sinergie politico-culturali e organizzative capaci di diffondere la
cultura della legalità.
Ora
i criminali sono per lo più in carcere, mentre nel Cimitero di Casal di
Principe la tomba di don Giuseppe Diana, è meta di migliaia di visitatori. È la
rivincita dei familiari e degli amici di don Diana che sin dal giorno dopo la
sua uccisione ne hanno difeso la memoria tra mille insidie, difficoltà e
pericoli. Il giorno dei funerali di don Diana, Don Antonio Riboldi, vescovo di
Acerra, ebbe a dire parole profetiche: “Il 19 marzo è morto un prete ma è
nato un popolo”.
Alla
fine di questo articolo voglio fare mio il grido di libertà che il mio papà,
insieme a migliaia di giovani, ha gridato ai funerali di Don Peppe: “Casalesi
è il nome di un Popolo, non è il nome di un Clan”.
BORTONE
SILVIA 1H
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