giovedì 30 marzo 2023

Non bisogna temere di sbagliare


 

Non bisogna temere di sbagliare

Molti studenti al giorno d'oggi non vivono serenamente la propria vita scolastica.
Se chiediamo a un ragazzo o ragazza il perché stia studiando, quasi sicuramente ci risponderà che lo sta facendo per aver un bel voto, ma bisogna studiare per se stessi in modo da avere una propria cultura e migliorarsi.
L'ansia nei ragazzi può dipendere da vari fattori legati a problemi familiari o inerenti alla scuola.
Anche io, pur essendo una ragazzina di seconda media, purtroppo soffro di ansia per lo studio, soprattutto per quanto riguarda le aspettative dei miei professori e dei miei compagni. Scrivo questo perché mi sono già capitati diversi episodi in cui non sono stata all'altezza delle aspettative e non sono stata trattata nel giusto modo. L'episodio più recente è successo pochi giorni fa. Mentre stavo entrando in classe mi avevano fermata due professoresse e mi avevano chiesto come era andata la semifinale dei Giochi Matematici e quando sarei dovuta andare a Milano per la finale, io purtroppo non sono riuscita a superarla e quando gliel'ho detto si sono sorprese e mi hanno risposto: "Ma come mai?".
Questa cosa può sembrare un fatto poco importante e senza valore, ma io la prendo quasi sempre sul personale e spesso mi sento in colpa come se le avessi deluse.
A volte capita a che qualche interrogazione non vada benissimo e mi chiedono il motivo per cui quel giorno non ero stata attenta ai particolari come altre volte.
E' da tempo che l'ansia è una mia "compagna", ho sempre avuto il timore di non essere sufficientemente capace per svolgere un compito, fortunatamente negli ultimi periodi sto imparando a gestire la mia ansia e ad essere più sicura di me e delle mie capacità. Finalmente ho capito che non bisogna preoccuparsi di deludere qualcuno perché non siamo robot e fare errori è nella nostra natura.


Sorbello Grazia 2G

lunedì 27 marzo 2023

Don Peppe Diana

 

Don Peppe Diana



 

La camorra non è invincibile,

si nutre delle nostre paure,

senza di esse non ha alcun valore.

 

La camorra è lì, dietro l’angolo,

i suoi tentacoli la nostra libertà infrangono.

 

Se non facciamo niente,

tutto crollerà,

ma se rimaniamo insieme

con le armi della speranza,

 

possiamo spianare la strada

e il sole luminoso della legalità

nel cielo a brillare tornerà.

 

Della Valle Chiara 1D

DON GIUSEPPE DIANA E LA SUA GENTE


DON GIUSEPPE DIANA E LA SUA GENTE








Don Giuseppe Diana nacque a Casal di Principe il 4 luglio 1958. Era noto con il nome di Peppe o Peppino. Dal 19 settembre 1989 divenne parroco della parrocchia di San Nicola di Bari a Casal di Principe. Don Peppe Diana cercava di aiutare la gente comune che si trovava in difficoltà negli anni del dominio della camorra casalese, legata al boss Francesco Schiavone detto Sandokan. Era un sacerdote che amava confondersi tra la gente: girava in paese in jeans e non in tonaca. La sua voce era divenuta un grido che scuoteva le coscienze: le sue non erano prediche generiche, ma ragionamenti ricchi di esempi, di nomi e cognomi e di denunce etiche e politiche. Aveva iniziato a realizzare un centro di accoglienza dove offrire vitto e alloggio ai primi immigrati africani perché pensava che fosse necessario accoglierli per evitare che i clan potessero farne dei soldati, perché “Bisogna risalire alle cause della camorra per sanarne la radice che è marcia... Dove regnano povertà e disoccupazione è facile che la mala pianta della camorra si sviluppi”. Invitava i giovani a farsi avanti, a far sentire la propria voce e, al contrario invitava i camorristi a tenersi in disparte e a non inquinare e affossare il paese. Alle 7:20 del 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, Don Peppe Diana fu assassinato nella sacrestia della chiesa di Casal di Principe mentre si preparava a celebrare la santa messa. Un camorrista lo affrontò con una pistola sparando 5 proiettili: due alla testa, uno alla mano, uno al volto e uno al collo. Il sacerdote morì all'istante. Gli assassini non si accontentarono di ucciderlo ma, con alcuni colpi di pistola al basso ventre, tentarono di inscenare un movente sessuale, infangando la figura del parroco. Sin dall'inizio del processo si tentò di depistare le indagini accusando Don Peppe di frequentare prostitute, di essere pedofilo e custodire le armi destinate ad uccidere il procuratore Cordova. La ragione per la quale Don Peppe Diana fu ucciso fu il suo rifiuto di celebrare i funerali in chiesa di un camorrista e questo gesto fu considerato un affronto. Tre giorni dopo, il nipote del morto uccise Don Peppe. L'autore dell'omicidio fu arrestato grazie alla testimonianza di un fotografo che quella mattina era in chiesa e che ebbe il coraggio di denunciare quello che aveva visto. Lo Stato ha conferito la medaglia d'oro al valor civile alla memoria di Don Peppe Diana. Dopo la sua morte sono nate tante associazioni che hanno continuato la sua opera di difesa dei più deboli e degli immigrati dalla minaccia della camorra e diverse scuole sono intitolate alla sua memoria.

Don Peppe era un uomo giusto e la sua morte non è stata vana. Il suo sacrificio estremo ha scosso e scuote tutt'ora le coscienze di tanti giovani e meno giovani, che neanche lo hanno conosciuto. Il primo vero discepolo di Don Peppe, se così si può chiamare, è stato il fotografo, suo amico, che non ha avuto paura, e seguendo il suo esempio, ha sfidato la camorra. Le associazioni, le cooperative che oggi continuano l'opera di Don Peppe, sono la risposta della società civile alla camorra. Si può proprio affermare che Don Peppe non è morto, è vivo ed è in mezzo a noi più che mai. Lui amava “il suo popolo” e don Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, il giorno del suo funerale disse: “Il 19 marzo è morto un prete ma è nato un popolo”

MARINO GIANLUCA 1L
 

Il senso di giustizia: Don Peppe Diana

 

Il senso di giustizia: Don Peppe Diana







Ogni anno il 19 marzo ricorre l’anniversario dell’assassinio di Don Peppe Diana di Casal di Principe che fu ucciso dalla camorra la domenica mattina, mentre si stava preparando per celebrare la Messa. Don Peppino aveva solo trentacinque anni quando quel giorno fu ucciso con cinque colpi di pistola, nella chiesa di San Nicola. Una delle beatitudini afferma: “Beati coloro che hanno sete e fame di giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5,6). Con questa espressione Dio vuole insegnarci a non arrenderci dinanzi al male, a impegnarci per affermare e difendere i valori sani, rispettare gli altri e non usare mai la violenza. Don Peppe Diana fu ucciso dai camorristi di Casal di Principe perché denunciò le problematiche e le azioni illegali della sua terra: estorsioni, usura, traffico di droghe, pizzo, inquinamento, gioco e scommesse illegali. Il 19 marzo del 1994 è morto un prete ma è nato un popolo, perché con la sua morte Don Peppe ha acceso gli animi dei giovani e degli adulti che hanno scelto di unirsi a lui per combattere contro la camorra.

Don Peppe era un personaggio scomodo, amava troppo la sua terra e diffondeva ovunque il suo messaggio: in chiesa, in piazza, per le strade, parlando ai giovani. Nella sua lettera del Natale 1991 diffusa nelle chiese della sua forania affermava: “Per amore del mio popolo non tacerò”. L’ amore dunque era, per questo parroco nato in un umile e semplice famiglia campana, il motore che lo spingeva a ribellarsi contro i criminali della sua terra. Per Don Peppe Diana la speranza è nelle nuove generazioni, i giovani devono avere il coraggio di denunciare e affrontare senza paura la camorra che ci impone la sua violenza e le sue leggi. Ognuno di noi deve impegnarsi per ribellarsi alle ingiustizie sociali e affermare la vita e il bene comune. Don Peppino amava rivolgersi ai giovani e come monito contro la corruzione e comportamenti illegali sosteneva: ”Bisogna risalire sui tetti per riannunciare parole di vita” oppure “La felicità è la possibilità di poter sognare”. Per Don Peppe Diana, dunque, i giovani non devono smettere di sognare, devono affermarsi in ogni campo con giustizia, annunciando ovunque le loro idee di libertà, di democrazia senza farsi condizionare dal male presente nei nostri territori. Sulla sua tomba vi è la scritta: “Dal seme che muore nasce una messe nuova di giustizia e pace” poiché la sua morte non ha segnato una fine ma l’inizio di un cambiamento nella società, della lotta dei giovani e il riscatto di un popolo contro il male della camorra.

Ora, forse, capisco cosa voleva dire quando affermava: “A me non importa sapere chi è Dio, a me importa sapere da che parte sta”.

La sua scelta, che si coniugava poi con le sue attività di tutti i giorni: darsi da fare per accogliere gli extracomunitari, condividere le ansie e le fatiche di quel pianeta giovanile per il quale aveva un’ascendenza particolare e che andavano dai ragazzi delle scuole agli inseparabili scout ma anche a quelli più in difficoltà e ai margini, raccogliere le confidenze di chi era vessato dalla prepotenza criminale, indignarsi dinanzi ai morti ammazzati.

Un impegno quotidiano e instancabile che affondava le proprie radici proprio in quella sete di giustizia, in quella fame di diritti, in quella inquietudine esistenziale che don Peppe aveva pensato bene di sintetizzare in tre semplici parole: “ansia di Dio”.




D’Alessandro Nicola 3G

domenica 19 marzo 2023

Don Peppe Diana: il prete dei giovani e per i giovani

 

Don Peppe Diana: il prete dei giovani e per i giovani

                       


    L’operato di Don Peppino Diana rappresenta ancora un esempio per tanti giovani e adulti, non solo del territorio casertano ma per tutta l’Italia. A distanza di quasi un trentennio dall’uccisione per opera del clan camorristico dei casalesi, risulta ancora vivo il ricordo di don Peppe Diana in tutti noi e affascina soprattutto le nuove generazioni per il coraggio, le virtù e l’esempio mostrati nei suoi anni di sacerdozio. È Nato il 4 luglio 1958 a Casal di Principe dove ha svolto l’attività pastorale dal 1989 nella Parrocchia di San Nicola di Bari fino alla sua tragica morte avvenuta il 19 marzo del 1994.

Tutto il suo sacerdozio è improntato ad un concetto di “chiesa “al servizio degli ultimi e di tutti. 

Il suo testamento morale può essere così racchiuso la” chiesa deve essere al servizio dei poveri, degli ultimi”. Infatti, diceva: “dove c’è mancanza di regole, di diritto si affermano il non diritto e la sopraffazione. Bisogna risalire alle cause della camorra per sanarne la radice che è marcia... dove regnano povertà, emarginazione, disoccupazione e disagio è facile che la mala pianta della camorra nasca e si sviluppi”.

Don Peppe Diana, per tutti don Peppino ha improntato tutta la sua esistenza alla trasparenza e per questo amava affermare che “Per amore del mio popolo non tacerò”, proprio da quel pulpito dove faceva prediche per educare e innalzare le coscienze fu ammazzato dalla mano criminale del clan camorristico dei casalesi nel giorno del suo onomastico. La morte di don Peppe Diana ha contribuito a diffondere alle generazioni future quello che può essere considerato un vero e proprio testamento di idee e di valori.  Purtroppo, ancora oggi troppi sono i messaggi che arrivano dai media o dai social nella

 nostra società distorti.  Se solo si pensa ai messaggi diffusi dalle fiction più famose come Gomorra o Mare fuori che diffondono una cultura della violenza e propagandano una società in cui il più forte e il più furbo prevale con più facilità e con più velocità rispetto a chi  è  rispettoso delle regole. Una vera esaltazione della violenza e della illegalità che in un territorio difficile come il nostro, diventa molto pericolosa per i modelli che diffonde. Nonostante ciò, nel nostro territorio nascono semi di speranza dalla collaborazione tra le tante associazioni, le istituzioni religiose, scolastiche, civili che cercano, seppur tra mille difficoltà di edificare le coscienze e di porsi come vere comunità educanti. Come ci testimonia don Peppe, dobbiamo essere  una comunità capace di aprire le coscienze ai veri valori,  di modificare mediante l’esempio  le mentalità, i modi di vivere. Per scalfire la cultura dell’omertà don Peppe ci invita tutti ad essere sentinelle del nostro territorio. In questi ultimi anni molti passi in avanti sono stati fatti, ma bisogna ancora lavorare tanto su tutte le nostre comunità affinché non restiamo indifferenti innanzi alle ingiustizie e all’illegalità e trovare il coraggio di denunciare e non avere paura.

Il percorso a Piccoli passi sta avvicinando noi giovani alle istituzioni e mediante un percorso di cittadinanza attiva, di legalità sta aprendo le nostre menti e le nostre coscienze a nuovi orizzonti, rafforzando un modello di società positivo improntato al bene comune e alla pace.

Concludo con il messaggio di Papa Giovanni Paolo II, nel ricordare la morte di Don Peppe Diana: “Voglia il Signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro, evangelico chicco di grano caduto nella terra e morto (cfr. Gv 12,24), produca frutti di sincera conversione, di operosa concordia, di solidarietà e di pace”.

Impegniamoci tutti a diffondere il pensiero di don Peppino, impegniamoci a farne un vero stile di vita orientato al bene comune sulle strade ogni giorno.

 

EMANUELA ORSI 1H                                                               

DON PEPPE DIANA: LA RINASCITA DOPO LA MORTE

 

DON PEPPE DIANA: LA RINASCITA DOPO LA MORTE



Era la mattina del 19 marzo 1994, il giorno del suo onomastico, stava per celebrare la santa messa, ma cinque colpi di proiettile colpirono a morte don Peppe Diana.  Era un sacerdote che, durante il periodo di massima influenza del Clan dei Casalesi, combatté per l’azione anticamorra. Fu con il suo grido di legalità PER AMORE DEL MIO POPOLO, diffuso in tutte le chiese durante la messa del Natale 1991, che il boss Francesco Schiavone, detto Sandokan, capì la sua pericolosità. Un uomo che da sempre lavorava con i giovani e che conosceva la loro realtà, faceva di tutto pur di salvaguardare il loro futuro.

IL PERIODO ANTECEDENTE

L’omertà governava a Casal di Principe, la paura di denunciare, nonostante gli innumerevoli atti camorristici. La goccia che, probabilmente, interruppe il silenzio assordante fu l’omicidio di Angelo Riccardo, che fu l’inizio delle denunce di don Peppe che invitava la popolazione a denunciare e non rimanere indifferenti a ciò che accadeva ‘’nelle loro case’’.

“PER AMORE DEL MIO POPOLO”

la lettera parte con un chiaro segno di aiuto ‘’SIAMO PREOCCUPATI’’ ed è uno scritto indirizzato a tutta la popolazione, perché tutti potenziali vittime di quella che è una camorra ‘che ti entra in casa’. ‘’ La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale’’ è scritto proprio per simboleggiare il ruolo sempre più importante nella società. Così vengono citati diversi passi della Genesi e non solo:

- Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);

 - Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);

 - Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);

- Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5)

‘’Le nostre Chiese hanno bisogno di precise indicazioni pastorali aderenti alle nuove realtà’’ ed è così che si conclude questo disperato appello alla legalità.

COSA CI RIMANE OGGI

Se lo scopo della camorra era uccidere quell’uomo e portare via con lui la parola e la speranza, non ci sono riusciti. Fu così che il sacrificio della vita di don Peppe fece provare una grande vergogna ai casalesi e con essa il desiderio di cambiare. Don Peppe Diana è ancora vivo e parla ai giovani tramite le numerose associazioni a lui dedicate. Tra le tante troviamo CASA DON DIANA che è un bene confiscato alla criminalità organizzata, polo educativo di attività di apprendimento non formali e informali, rivolte a giovani e adulti, in affido al Comitato don Diana dal 2015. È un centro di confronto su molteplici tematiche sociali, giuridiche, istituzionali e sanitarie. Ma l’istituzione più importante è proprio l’IC ‘’Don Diana’’ di Casal di Principe, che con il suo nome decide di andare ‘’controcorrente’’ rispetto ai luoghi comuni che spesso vengono divulgati. Ed è proprio in questi ultimi giorni che l’istituto ha deciso di indirizzare una lettera a tutte le scuole del circuito di A PICCOLI PASSI, invitando tutte le scuole a celebrare la MEMORIA nella loro scuola nel senso che FARE MEMORIA vuol dire diventare solidali nel bene, essere autentici uomini di pace e riaprire la vita alla speranza.

 

LE TESTIMONIANZE

 

Prima ancor di parlare di testimonianze bisogna capire in che modo FARE MEMORIA di don Peppe, così la Diocesi di Aversa nel percorso A piccoli passi ha stilato cinque punti fondamentali:

·        Prendersi cura della comunità (a partire dal dolore che si vive in certe situazioni)

·        Denunciare il male, con coraggio

·        Cercare il bene possibile

·        Annunciare il proprio impegno di essere “segno di contraddizione”

·        Essere sentinelle e profeti sulle strade di don Peppe Diana

La testimonianza più importante e sentita è proprio quella che Papa Giovanni Paolo II dedicò al nostro caro don Diana: “Voglia il Signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro, evangelico chicco di grano caduto nella terra e morto (cfr. Gv 12,24), produca frutti di sincera conversione, di operosa concordia, di solidarietà e di pace”. Ed è stato proprio così, l’auspicio di papa Giovanni Paolo II è avvenuto. Ma questa importantissima testimonianza possiamo ritrovarla anche nella Lettera pastorale di S. E. mons. Angelo Spinillo in onore del XXV anno dalla sua morte. Uno dei passaggi fondamentali nel suo scritto è proprio ‘’La memoria di Don Peppino Diana e del suo sacrificio deve essere per noi tutti come una rinnovata chiamata a superare le logiche di un vivere ancora rassegnato alla prepotenza e all’illegalità, e un reale e più efficace incoraggiamento a sviluppare, con serena franchezza di dialogo, una vitale unità di intenti e di azione orientate al bene comune’’ ribadendo quanto ancora oggi la criminalità faccia ancora, e purtroppo, parte della nostra quotidianità. A volte per scelta, a volte per caso, siamo tutti consapevoli quanto questa realtà sia vicina a noi e quanto il nostro agire o il nostro cammino contro la criminalità, possano porre forte radici di cambiamento, soprattutto dimostrare che non tutto è perduto, neanche la perdita di colui che ci ha messo il cuore e la faccia, che ci ha creduto fino alla fine perciò bisogna continuare su questa strada tracciata, insieme, con le nostre forze e con la nostra volontà nella  realizzazione del bene comune. Ecco perché l’incontro del 17 marzo, organizzato dal “Don Diana”, segna un cambio di passo e di orizzonte: non più celebrazioni, ma azioni, “come a lui sarebbe piaciuto”. Azioni orientate a costruire “Un NOI sempre più grande”: dalla classe, alla scuola, alla città e al territorio, infine, al mondo intero.

 

      GUIDA CHIARA 3I

 

Don Peppe Diana

 

 Quella mattina del 19 marzo 1994


 È il 19 marzo 1994. Sono da poco passate le 7:20. Don Giuseppe Diana, parroco della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, arriva prima del solito nella sua parrocchia. È anche il giorno del suo onomastico. Dopo la messa delle 7.30 ha dato appuntamento in un bar a diversi amici per un dolce e un caffè. Sulla porta il sagrestano lo saluta. In chiesa ci sono già alcune donne e le suore. C’è anche Augusto di Meo ad aspettarlo, il suo amico fotografo. Vuole essere tra i primi a fargli gli auguri per il suo onomastico. Ma ad aspettare don Peppe c’è anche un’altra persona. È sul piazzale della chiesa, in auto. È un uomo con meno di 40 anni con un giubbotto nero e capelli lunghi. Appena vede il prete entrare, scende. Si guarda intorno, mette la pistola nella cintura e si avvia a passo deciso verso la sagrestia.

Don Peppe, intanto, mentre comincia ad indossare i paramenti sacri, sta ancora concordando con il suo amico fotografo il da farsi per vedersi dopo la messa. Ed ecco che entra l’uomo col giubbotto. “Chi è don Peppe?”, chiede lo sconosciuto. Don Diana si gira e risponde: “Sono io”. L’uomo tira fuori la pistola dalla cintola e spara cinque colpi, al volto e al petto. Per don Peppe che cade in una pozza di sangue, non c’è niente da fare. Muore a 36 anni il prete che aveva osato sfidare apertamente la camorra dei casalesi. Il killer si dilegua. Ad aspettarlo ci sono dei complici con l’auto del motore acceso. Augusto, il fotografo amico di don Diana invece, corre dai carabinieri a denunciare l’accaduto. Sarà lui a riconoscere in Giuseppe Quadrano il killer di don Diana.

Per l’uccisione di don Giuseppe Diana, il 4 marzo 2004, la Corte di Cassazione ha condannato all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti quali coautori dell’omicidio, mentre ha riconosciuto come autore materiale dell’omicidio il boss Giuseppe Quadrano condannandolo a 14 anni, perché collaboratore di Giustizia. Decisiva la testimonianza di Augusto Di Meo.

Quanto ai mandanti, la giustizia ha accertato che la morte di don Diana venne ordinata dalla Spagna, dal boss Nunzio De Falco detto “’o Lupo”, con l’intento di colpire il clan Schiavone- Bidognetti.

Ma prima della sentenza definitiva, ci sono stati vari tentativi di infangare la memoria di don Giuseppe Diana. Tentativi che iniziarono sin dalle prime ore dopo la sua morte, quando venne fatta circolare la voce che era stato ucciso per vicende di donne.

A queste voci seguirono vere e proprie campagne denigratorie con articoli apparsi sul “Corriere di Caserta” che avevano l’obiettivo di delegittimare non solo la figura di don Diana, ma soprattutto il suo forte messaggio lanciato dagli altari delle chiese della Forania di Casal di Principe, a Natale del 1991, con il documento “Per amore del mio popolo”. Un messaggio dirompente contro la cultura camorristica e criminale, nato nel cuore di quella che lo stesso don Diana definiva la “dittatura armata” della camorra.

Da 19 marzo di ventinove anni fa, molte cose sono cambiate. La sua morte è stata come un seme caduto nella buona terra perché ha dato molti frutti. I colpi inferti dalle forze dell’ordine e dalla magistratura ai clan sono stati pesanti. Le condanne all’ergastolo per i capi della camorra casalese hanno messo in ginocchio l’organizzazione criminale.

Nel frattempo, diversi beni sono stati confiscati ai boss e assegnati ad associazioni e cooperative sociali.

Nel 2010 è stata costituita la Cooperativa “Le terre di Don Peppe Diana” e ha avuto in affidamento la tenuta agricola appartenuta al boss Michele Zaza a Castel Volturno per la realizzazione di una fattoria didattica e del caseificio che produce la Mozzarella della Legalità”, primo prodotto campano realizzato sui terreni confiscati alla camorra. Produce Mozzarella di Bufala Campana DOP e ricotta con latte di allevamenti locali. Si dedica anche alla produzione di grano, con i quali Libera Terra realizza i Paccheri Don Peppe Diana e legumi pregiati quali la cicerchia. La Cooperativa “Le terre di Don Peppe Diana” aderisce alla rete di Libera.

“Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” è nata con l’intento di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia. Attualmente Libera è un coordinamento di oltre 1600 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, territorialmente impegnate per costruire sinergie politico-culturali e organizzative capaci di diffondere la cultura della legalità.

Ora i criminali sono per lo più in carcere, mentre nel Cimitero di Casal di Principe la tomba di don Giuseppe Diana, è meta di migliaia di visitatori. È la rivincita dei familiari e degli amici di don Diana che sin dal giorno dopo la sua uccisione ne hanno difeso la memoria tra mille insidie, difficoltà e pericoli. Il giorno dei funerali di don Diana, Don Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, ebbe a dire parole profetiche: “Il 19 marzo è morto un prete ma è nato un popolo”.

Alla fine di questo articolo voglio fare mio il grido di libertà che il mio papà, insieme a migliaia di giovani, ha gridato ai funerali di Don Peppe: “Casalesi è il nome di un Popolo, non è il nome di un Clan”.

BORTONE SILVIA 1H