lunedì 27 marzo 2023

DON GIUSEPPE DIANA E LA SUA GENTE


DON GIUSEPPE DIANA E LA SUA GENTE








Don Giuseppe Diana nacque a Casal di Principe il 4 luglio 1958. Era noto con il nome di Peppe o Peppino. Dal 19 settembre 1989 divenne parroco della parrocchia di San Nicola di Bari a Casal di Principe. Don Peppe Diana cercava di aiutare la gente comune che si trovava in difficoltà negli anni del dominio della camorra casalese, legata al boss Francesco Schiavone detto Sandokan. Era un sacerdote che amava confondersi tra la gente: girava in paese in jeans e non in tonaca. La sua voce era divenuta un grido che scuoteva le coscienze: le sue non erano prediche generiche, ma ragionamenti ricchi di esempi, di nomi e cognomi e di denunce etiche e politiche. Aveva iniziato a realizzare un centro di accoglienza dove offrire vitto e alloggio ai primi immigrati africani perché pensava che fosse necessario accoglierli per evitare che i clan potessero farne dei soldati, perché “Bisogna risalire alle cause della camorra per sanarne la radice che è marcia... Dove regnano povertà e disoccupazione è facile che la mala pianta della camorra si sviluppi”. Invitava i giovani a farsi avanti, a far sentire la propria voce e, al contrario invitava i camorristi a tenersi in disparte e a non inquinare e affossare il paese. Alle 7:20 del 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, Don Peppe Diana fu assassinato nella sacrestia della chiesa di Casal di Principe mentre si preparava a celebrare la santa messa. Un camorrista lo affrontò con una pistola sparando 5 proiettili: due alla testa, uno alla mano, uno al volto e uno al collo. Il sacerdote morì all'istante. Gli assassini non si accontentarono di ucciderlo ma, con alcuni colpi di pistola al basso ventre, tentarono di inscenare un movente sessuale, infangando la figura del parroco. Sin dall'inizio del processo si tentò di depistare le indagini accusando Don Peppe di frequentare prostitute, di essere pedofilo e custodire le armi destinate ad uccidere il procuratore Cordova. La ragione per la quale Don Peppe Diana fu ucciso fu il suo rifiuto di celebrare i funerali in chiesa di un camorrista e questo gesto fu considerato un affronto. Tre giorni dopo, il nipote del morto uccise Don Peppe. L'autore dell'omicidio fu arrestato grazie alla testimonianza di un fotografo che quella mattina era in chiesa e che ebbe il coraggio di denunciare quello che aveva visto. Lo Stato ha conferito la medaglia d'oro al valor civile alla memoria di Don Peppe Diana. Dopo la sua morte sono nate tante associazioni che hanno continuato la sua opera di difesa dei più deboli e degli immigrati dalla minaccia della camorra e diverse scuole sono intitolate alla sua memoria.

Don Peppe era un uomo giusto e la sua morte non è stata vana. Il suo sacrificio estremo ha scosso e scuote tutt'ora le coscienze di tanti giovani e meno giovani, che neanche lo hanno conosciuto. Il primo vero discepolo di Don Peppe, se così si può chiamare, è stato il fotografo, suo amico, che non ha avuto paura, e seguendo il suo esempio, ha sfidato la camorra. Le associazioni, le cooperative che oggi continuano l'opera di Don Peppe, sono la risposta della società civile alla camorra. Si può proprio affermare che Don Peppe non è morto, è vivo ed è in mezzo a noi più che mai. Lui amava “il suo popolo” e don Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, il giorno del suo funerale disse: “Il 19 marzo è morto un prete ma è nato un popolo”

MARINO GIANLUCA 1L
 

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