Il senso
di giustizia: Don
Peppe Diana
Ogni anno il 19 marzo ricorre l’anniversario dell’assassinio di Don Peppe Diana di Casal di Principe che fu ucciso dalla camorra la domenica mattina, mentre si stava preparando per celebrare la Messa. Don Peppino aveva solo trentacinque anni quando quel giorno fu ucciso con cinque colpi di pistola, nella chiesa di San Nicola. Una delle beatitudini afferma: “Beati coloro che hanno sete e fame di giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5,6). Con questa espressione Dio vuole insegnarci a non arrenderci dinanzi al male, a impegnarci per affermare e difendere i valori sani, rispettare gli altri e non usare mai la violenza. Don Peppe Diana fu ucciso dai camorristi di Casal di Principe perché denunciò le problematiche e le azioni illegali della sua terra: estorsioni, usura, traffico di droghe, pizzo, inquinamento, gioco e scommesse illegali. Il 19 marzo del 1994 è morto un prete ma è nato un popolo, perché con la sua morte Don Peppe ha acceso gli animi dei giovani e degli adulti che hanno scelto di unirsi a lui per combattere contro la camorra.
Don Peppe era un personaggio scomodo, amava troppo la sua terra e diffondeva ovunque il suo messaggio: in chiesa, in piazza, per le strade, parlando ai giovani. Nella sua lettera del Natale 1991 diffusa nelle chiese della sua forania affermava: “Per amore del mio popolo non tacerò”. L’ amore dunque era, per questo parroco nato in un umile e semplice famiglia campana, il motore che lo spingeva a ribellarsi contro i criminali della sua terra. Per Don Peppe Diana la speranza è nelle nuove generazioni, i giovani devono avere il coraggio di denunciare e affrontare senza paura la camorra che ci impone la sua violenza e le sue leggi. Ognuno di noi deve impegnarsi per ribellarsi alle ingiustizie sociali e affermare la vita e il bene comune. Don Peppino amava rivolgersi ai giovani e come monito contro la corruzione e comportamenti illegali sosteneva: ”Bisogna risalire sui tetti per riannunciare parole di vita” oppure “La felicità è la possibilità di poter sognare”. Per Don Peppe Diana, dunque, i giovani non devono smettere di sognare, devono affermarsi in ogni campo con giustizia, annunciando ovunque le loro idee di libertà, di democrazia senza farsi condizionare dal male presente nei nostri territori. Sulla sua tomba vi è la scritta: “Dal seme che muore nasce una messe nuova di giustizia e pace” poiché la sua morte non ha segnato una fine ma l’inizio di un cambiamento nella società, della lotta dei giovani e il riscatto di un popolo contro il male della camorra.
Ora, forse, capisco cosa voleva dire quando affermava: “A me non importa sapere chi è Dio, a me importa sapere da che parte sta”.
La sua scelta, che si coniugava poi con le sue attività di tutti i giorni: darsi da fare per accogliere gli extracomunitari, condividere le ansie e le fatiche di quel pianeta giovanile per il quale aveva un’ascendenza particolare e che andavano dai ragazzi delle scuole agli inseparabili scout ma anche a quelli più in difficoltà e ai margini, raccogliere le confidenze di chi era vessato dalla prepotenza criminale, indignarsi dinanzi ai morti ammazzati.
Un impegno quotidiano e instancabile che affondava le proprie radici proprio in quella sete di giustizia, in quella fame di diritti, in quella inquietudine esistenziale che don Peppe aveva pensato bene di sintetizzare in tre semplici parole: “ansia di Dio”.
D’Alessandro Nicola 3G
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