LA STORIA SI RIPETE, MA MAI NELLO STESSO MODO
Dopo
molti anni il mondo ha riaperto i suoi occhi sull’Afghanistan, per poi
richiuderli subito dopo.
Ed ecco che le donne afghane, dopo
venti anni di diritti garantiti dalla presenza degli Americani in quel paese, ne
sono state nuovamente private. I talebani sono ritornati a governare il loro
paese applicando una versione estrema della shari’a, che in arabo
significa legge, una rigida legge oserei dire.
Indossando
il burqa per “rispetto”
verso i loro uomini, le donne afghane non sono più padrone di loro stesse e
della loro identità. Sono
private di qualsiasi diritto, se si escludono la procreazione, la soddisfazione
dei bisogni sessuali degli uomini e lo svolgimento dei lavori domestici. Le donne
non possono uscire di casa se non accompagnate da un uomo, non possono studiare
né utilizzare cosmetici, non possono parlare o dare la mano agli uomini, non
possono ridere né parlare ad alta voce, non possono portare i tacchi né
indossare i pantaloni. Per sopravvivere e vedere riconosciuto un barlume della
propria libertà, le bambine sono addirittura costrette a “travestirsi” da uomo
tagliando i loro capelli: è la tradizione delle bacha-posh, le ragazze travestite da maschio per salvare l’onore
della propria famiglia e per sfuggire ai divieti a cui sono sottoposte.
Raggiunta la pubertà, poi, le ragazze sono costrette a sposarsi a uomini vecchi e barbuti e diventare vere e proprie spose-bambine/donne oggetto.
Anche
i bambini sono costretti a nascondersi, per paura di essere arruolati come
soldati fin da piccoli o essere reclutati come “Kamikaze”.
Mi viene da pensare alla famosa frase: “La
storia si ripete, ma mai nello stesso
modo, mai nelle stesse circostanze”. I diritti continuano sempre ad essere
negati, nei diversi paesi, a diverse categorie e a diversi gruppi sociali: la
musica sembra essere sempre la stessa: le belle parole sono ridondanti ma sono
i fatti a parlare della cruda verità.
Il progetto “Io mi narro, Tu mi narri” ci ha permesso
di riflettere, attraverso gli occhi dei nostri coetanei afghani, sul dolore,
sulla violenza, sulla guerra, sulle ingiustizie, sui diritti negati e sull’insensatezza
di queste atrocità. Abbiamo capito quanto la cultura e il potere della
narrazione possano essere un balsamo per le difficoltà quotidiane. La parola,
se ben esercitata, può dare vita ad un mondo parallelo resistente al dolore
dove i mostri possono essere affrontati e sconfitti e dove la violenza non
trova spazio. Il messaggio che ci portiamo dentro è, quindi, un messaggio di
speranza, quella speranza che deve nascere in noi anche dal buio più
profondo e che la forza del nostro animo deve supportare: Innalza le tue
parole, non la tua voce. E’ la pioggia che fa nascere i fiori, non il tuono.
Lampitelli Claudia, classe 2F
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