mercoledì 2 marzo 2022

AFGHANISTAN

 

AFGHANISTAN 

LA STORIA SI RIPETE, MA MAI NELLO STESSO MODO

 

Dopo molti anni il mondo ha riaperto i suoi occhi sull’Afghanistan, per poi richiuderli subito dopo.


Ed ecco che le donne afghane, dopo venti anni di diritti garantiti dalla presenza degli Americani in quel paese, ne sono state nuovamente private. I talebani sono ritornati a governare il loro paese applicando una versione estrema della shari’a, che in arabo significa legge, una rigida legge oserei dire.

Indossando il burqa per “rispetto” verso i loro uomini, le donne afghane non sono più padrone di loro stesse e della loro identità. Sono private di qualsiasi diritto, se si escludono la procreazione, la soddisfazione dei bisogni sessuali degli uomini e lo svolgimento dei lavori domestici. Le donne non possono uscire di casa se non accompagnate da un uomo, non possono studiare né utilizzare cosmetici, non possono parlare o dare la mano agli uomini, non possono ridere né parlare ad alta voce, non possono portare i tacchi né indossare i pantaloni. Per sopravvivere e vedere riconosciuto un barlume della propria libertà, le bambine sono addirittura costrette a “travestirsi” da uomo tagliando i loro capelli: è la tradizione delle bacha-posh, le ragazze travestite da maschio per salvare l’onore della propria famiglia e per sfuggire ai divieti a cui sono sottoposte.

 


Raggiunta la pubertà, poi, le ragazze sono costrette a sposarsi a uomini vecchi e barbuti e diventare vere e proprie spose-bambine/donne oggetto.


Anche i bambini sono costretti a nascondersi, per paura di essere arruolati come soldati fin da piccoli o essere reclutati come “Kamikaze”.



Mi viene da pensare alla famosa frase: “La storia si ripete, ma mai nello stesso modo, mai nelle stesse circostanze”. I diritti continuano sempre ad essere negati, nei diversi paesi, a diverse categorie e a diversi gruppi sociali: la musica sembra essere sempre la stessa: le belle parole sono ridondanti ma sono i fatti a parlare della cruda verità.

La vergogna maggiore di tutte, poi, è che le donne in Afghanistan non hanno accesso alla cultura, come nelle epoche più buie della nostra storia. Eppure noi a scuola parliamo spesso dell’importanza delle parole così come dell’istruzione, vere armi contro la violenza e gli abusi; l’odio non migliora le cose, la rabbia non produce nulla mentre l’amore, la civiltà e la compassione sono essenziali per gli esseri umani.



Il progetto “Io mi narro, Tu mi narri” ci ha permesso di riflettere, attraverso gli occhi dei nostri coetanei afghani, sul dolore, sulla violenza, sulla guerra, sulle ingiustizie, sui diritti negati e sull’insensatezza di queste atrocità. Abbiamo capito quanto la cultura e il potere della narrazione possano essere un balsamo per le difficoltà quotidiane. La parola, se ben esercitata, può dare vita ad un mondo parallelo resistente al dolore dove i mostri possono essere affrontati e sconfitti e dove la violenza non trova spazio. Il messaggio che ci portiamo dentro è, quindi, un messaggio di speranza, quella speranza che deve nascere in noi anche dal buio più profondo e che la forza del nostro animo deve supportare: Innalza le tue parole, non la tua voce. E’ la pioggia che fa nascere i fiori, non il tuono.

Lampitelli Claudia, classe 2F





 





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