giovedì 17 marzo 2022

Don Peppe DIANA- Per amore del mio popolo

 

  Don Peppe DIANA- Per amore del mio popolo


L’I.C. “Don Diana” si pone come scuola capofila del progetto “VOGLIO VEDERE FIORIRE IL PESCO", in occasione della "FESTA della LEGALITÀ” giornata dell'impegno e della memoria istituita dalla Regione Campania nel 2012 in ricordo dell'uccisione di don Peppino Diana

 

LA SPERANZA IN UN MONDO MIGLIORE

Il 04 luglio 1958 nasce a Casal di Principe, da genitori proprietari terrieri, Giuseppe Diana che sarà da tutti noi conosciuto come don Peppe.

All’età di dodici anni entra nel Seminario Vescovile di Aversa, dove completa le scuole medie. Consegue la maturità classica e si trasferisce a Posillipo presso la Facoltà di Teologia. infine, nel 1985 si laurea in Storia e Filosofia presso l’Università “Federico II” di Napoli.

Viene nominato alla guida dell’AGESCI, associazione guida e scouts cattolici italiani, diventa segretario del vescovo di Aversa Giovanni Gazza e assume la cattedra di insegnante di religione presso l’istituto Alberghiero e l’istituto tecnico “A. Volta” di Aversa. Successivamente, insegna le materie umanistiche nella scuola media del Seminario Vescovile di Aversa.

Il 19 settembre 1989 è nominato sacerdote della parrocchia di san Nicola in Casal di Principe.

Dalla sua parrocchia inizia la sua lotta contro la criminalità organizzata, da un lato, denuncia come la camorra inizia ad infiltrarsi in tutta l’economia dell’agro aversano, dall’altro, cerca di offrire un’alternativa onesta ai giovani del suo paese.

La notte di Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe e della Diocesi aversana viene letto un testo scritto da don Peppe: “Per amore del mio popolo”.

È considerato il suo testamento ideologico; è l’invito rivolto ai giovani e a tutti gli uomini di buona volontà e onesti di non arrendersi a chi opera nell’ombra. Dall’altare diceva contro la camorra: “La gente deve sapere che i camorristi sono spietati e sanguinari; controllano le attività edilizie e il commercio. Vendono la droga, rovinando così la vita di ragazzi, giovani e poveri immigrati africani”. Don Peppe invita i giovani ad “avere il coraggio di compiere delle scelte, di denunciare”.

La mattina del 19 marzo 1994, nella sacrestia della sua parrocchia, i sicari della camorra sparano cinque colpi contro don Peppe. Muore a soli trentacinque anni. Al suo funerale partecipò una folla impressionante. Un gesto che significava molto perché si era infranto il muro dell’omertà.  Da quel giorno nella coscienza delle persone qualcosa era cambiato. Sulla sua tomba sono riportate queste parole: “Dal seme che muore fiorisce una messe nuova di giustizia e di pace “. Don Peppe Diana è stato questo seme di giustizia e di legalità. La sua vita, come un seme nella terra, è diventato l’albero della speranza ma questo albero, per crescere forte e rigoroso, ha bisogno di essere ogni giorno innaffiato con gesti di amore, onestà e coraggio.

La sua morte non è stata vana; Casal di Principe, un tempo nota come la terra del “clan dei casalesi”, oggi è la terra di don Diana, cioè, della rinascita sociale e culturale delle nostre terre.

Aver paura è normale, ma ripensando alla fede incrollabile di don Peppe e alle sue parole, nasce in tutti noi giovani la forza necessaria per reagire alle ingiustizie con una costante voglia di libertà guidata da un profondo senso di giustizia.

il 25 aprile 2004, a Casale, è stato fondato il “comitato don Peppe Diana”.

 



"Non c'è bisogno di essere eroi, basterebbe il coraggio di aver paura, il coraggio di fare delle scelte, di denunciare ... "

  Don Peppe DIANA- Per amore del mio popolo


Vitale Francesco Pio 3D

lunedì 14 marzo 2022

Operazione scuole pulite - Legambiente


Operazione scuole pulite - Legambiente



Il nostro Istituto ha aderito all'iniziativa promossa da Legambiente "NONTISCORDARDIME' - OPERAZIONE SCUOLE PULITE" Il 12 marzo al plesso Rocco ci siamo dedicati alla riorganizzazione degli spazi esterni del nostro istituto, per ritrovare il gusto dello stare insieme e condividere un progetto, per piantare nuovi alberi, realizzare orti.



Il racconto dei ragazzi della 1E della splendida giornata.








martedì 8 marzo 2022

LETTERA DI UNA DONNA UCRAINA

 LETTERA DI UNA DONNA UCRAINA



Voglio iniziare con le parole: non insultare una donna, non farla piangere... Dio conta le sue lacrime.

Sono ucraina, e come migliaia di donne sono venuta in Italia. Ho lasciato la mia famiglia, la mia casa, il mio pezzo di cuore alla ricerca di una vita facile per i miei cari. Una volta una signora italiana ha detto ad una donna ucraina: "Probabilmente bisogna avere un grande coraggio per andare così lontano da casa, dai bambini... io non sarei in grado di farlo!" E la donna ucraina ha risposto: non siamo né coraggiose, né più forti, siamo come te, siamo DONNE! Siamo forti perché diamo alla luce ancora la vita. Noi siamo pazienti, quindi la saggezza è nella pazienza, siamo coraggiose perché faremmo l'impossibile per i nostri figli! 

Quando sembra che non abbiamo alcuna forza, possiamo piangere , ma subito dopo raccogliamo tutta la nostra volontà in una volta e andiamo, passo dopo passo, verso un nuovo giorno! Ed ora, ricordando le parole di quella signora "sei più forte di noi", mi rispondo "forse sì". Nessuno potrebbe pensare che nel ventunesimo secolo, nel 2022, si possa sentire la terribile parola "GUERRA", che farà di nuovo a pezzi i nostri cuori. Ma crediamo che sopravviveremo alla guerra, lo sappiamo perché siamo forti! 

Oggi è la giornata internazionale della donna e io voglio augurare a tutte le donne del mondo un amore reciproco e un cielo sereno. E voglio rivolgermi a tutte le donne ucraine in questo momento difficile e dire: "se Dio è con noi allora che differenza fa chi è contro di noi?"


ROHIVSKA OKSANA  mamma di KOHUT ALINA




mercoledì 2 marzo 2022

AFGHANISTAN

 

AFGHANISTAN 

LA STORIA SI RIPETE, MA MAI NELLO STESSO MODO

 

Dopo molti anni il mondo ha riaperto i suoi occhi sull’Afghanistan, per poi richiuderli subito dopo.


Ed ecco che le donne afghane, dopo venti anni di diritti garantiti dalla presenza degli Americani in quel paese, ne sono state nuovamente private. I talebani sono ritornati a governare il loro paese applicando una versione estrema della shari’a, che in arabo significa legge, una rigida legge oserei dire.

Indossando il burqa per “rispetto” verso i loro uomini, le donne afghane non sono più padrone di loro stesse e della loro identità. Sono private di qualsiasi diritto, se si escludono la procreazione, la soddisfazione dei bisogni sessuali degli uomini e lo svolgimento dei lavori domestici. Le donne non possono uscire di casa se non accompagnate da un uomo, non possono studiare né utilizzare cosmetici, non possono parlare o dare la mano agli uomini, non possono ridere né parlare ad alta voce, non possono portare i tacchi né indossare i pantaloni. Per sopravvivere e vedere riconosciuto un barlume della propria libertà, le bambine sono addirittura costrette a “travestirsi” da uomo tagliando i loro capelli: è la tradizione delle bacha-posh, le ragazze travestite da maschio per salvare l’onore della propria famiglia e per sfuggire ai divieti a cui sono sottoposte.

 


Raggiunta la pubertà, poi, le ragazze sono costrette a sposarsi a uomini vecchi e barbuti e diventare vere e proprie spose-bambine/donne oggetto.


Anche i bambini sono costretti a nascondersi, per paura di essere arruolati come soldati fin da piccoli o essere reclutati come “Kamikaze”.



Mi viene da pensare alla famosa frase: “La storia si ripete, ma mai nello stesso modo, mai nelle stesse circostanze”. I diritti continuano sempre ad essere negati, nei diversi paesi, a diverse categorie e a diversi gruppi sociali: la musica sembra essere sempre la stessa: le belle parole sono ridondanti ma sono i fatti a parlare della cruda verità.

La vergogna maggiore di tutte, poi, è che le donne in Afghanistan non hanno accesso alla cultura, come nelle epoche più buie della nostra storia. Eppure noi a scuola parliamo spesso dell’importanza delle parole così come dell’istruzione, vere armi contro la violenza e gli abusi; l’odio non migliora le cose, la rabbia non produce nulla mentre l’amore, la civiltà e la compassione sono essenziali per gli esseri umani.



Il progetto “Io mi narro, Tu mi narri” ci ha permesso di riflettere, attraverso gli occhi dei nostri coetanei afghani, sul dolore, sulla violenza, sulla guerra, sulle ingiustizie, sui diritti negati e sull’insensatezza di queste atrocità. Abbiamo capito quanto la cultura e il potere della narrazione possano essere un balsamo per le difficoltà quotidiane. La parola, se ben esercitata, può dare vita ad un mondo parallelo resistente al dolore dove i mostri possono essere affrontati e sconfitti e dove la violenza non trova spazio. Il messaggio che ci portiamo dentro è, quindi, un messaggio di speranza, quella speranza che deve nascere in noi anche dal buio più profondo e che la forza del nostro animo deve supportare: Innalza le tue parole, non la tua voce. E’ la pioggia che fa nascere i fiori, non il tuono.

Lampitelli Claudia, classe 2F